SPEAKERS

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Panel 1 – Italian Style and Transatlantic Hubs

Mary Ann Carolan (Fairfield University)
Mary Ann McDonald Carolan is Professor of Modern Languages & Literatures and Director of the Italian Studies program at Fairfield University (USA). Prof. Carolan is the author of The Transatlantic Gaze: Italian Cinema, American Film (State University of New York Press, 2014) which documents the sustained and profound artistic impact of Italian cinema upon filmmakers in the United States from the postwar period to the new millennium. Working across a variety of genres, including neorealism, comedy, the Western, and the art film, she explores how and why American directors have adapted certain Italian trademark techniques and motifs. Prof. Carolan’s second book, Orienting Italy: China through the Lens of Italian Filmmakers, examines the ways in which Italian directors have employed documentary, historical fiction, and fictional narratives to represent China and its people both at home and abroad in Italy. It will be published in the Horizons of Cinema series by State University of New York Press in September 2022. She is currently working on a new book project, Visions of Italy and America in Film, that investigates race and class in the cinematic exchange between Italy and the United States.

The Spaghetti Western: The Quintessential Transatlantic Genre
Abstract: The spaghetti western (western allitaliana), one of the most influential Italian cinematic developments in the postwar period, emerged in the 1960s when the success of the American Westerns was on the wane.  The radically new Italian interpretation engaged with the American version, a genre synonymous with the western expansion of the United States as well as with the origins of American filmmaking.  Spaghetti westerns use motifs and symbols of the western to parody and subvert the message of the traditional genre.  While the American Western celebrates the pursuit of civilization into previously uncharted lands, the western allitaliana seeks to repudiate American westward expansion as a civilizing phenomenon by highlighting the violence on which such supposed progress is predicated.  Unlike the traditional version, in which bloodshed results primarily from the epic struggle between good and evil, justice and injustice, the spaghetti western demonstrates that carnage can occur outside such neat parameters. With its racially diverse casts and politically explicit message, the spaghetti western both challenged and revitalized the Western.  This genre catapulted American actors such as Clint Eastwood into stardom while also validating Black American actors such as Woody Strode and Vonetta McGee whose careers benefited enormously from their work in Hollywood on the Tiber.
The Italian version of the quintessential American film continues to reverberate in American cinema and especially so in the works of Quentin Tarantino whose latest trilogy, Django Unchained (2012), The Hateful Eight (2015) and Once upon a time… in Hollywood (2019), demonstrates the enduring influence of the spaghetti western. Tarantino’s indebtedness to the genre and its masters, Sergio Corbucci and Sergio Leone in particular, is legendary. Towards the middle of Django Unchained, a tale of bounty hunting and liberation, Tarantino directly cites the spaghetti western when the title character, played by Jamie Foxx, encounters Amerigo Vessepi, played by Franco Nero, the original Django, at the ranch owned by Calvin Candie (Leonardo di Caprio).  With The Hateful Eight (2015) Quentin Tarantino broadens the discourse on human capital and race in postbellum America.  He also broadens his Italian references to include Fellini by choosing Cinecittà studio #5 for the film’s premiere as well as the pleonastic rendering of the roadshow title (The H8ful Eight), which recalls the Italian director’s autobiographical masterpiece 8 ½ (1963).
Tarantino’s final film in the trilogy of tributes to the spaghetti western, Once upon a Time… in Hollywood, re-tells the murders of Sharon Tate and others by Charles Manson’s followers.  This film completes the cycle by discussing the genre itself.  Protagonist Rick Dalton (Leonardo di Caprio) laments the suggestion by his agent Marvin Schwartz (Al Pacino) that he work on spaghetti westerns in Italy in order to revive his stalled acting career.  And, of course, the title of Tarantino’s ninth film recalls two Leone epics, Once upon a Time in the West (1968) and Once upon a Time in America (1984), which are both radical interpretations of cinematic genres and history.

Giuseppe Gatti (Università Roma Tre) 
Giuseppe Gatti è assegnista di ricerca del progetto Transatlantic Transfers e docente del laboratorio di Arti Digitali presso il Dipartimento di Filosofia, Comunicazione e Spettacolo dell’Università degli Studi Roma Tre. È autore di Dispositivo. Un’archeologia della mente e dei media (Roma Tre Press, 2019) e di Stradario hip-hop (Alegre, 2020). Con lo pseudonimo di “Nexus” è regista, performer e media designer teatrale.

Cinema e snodi transatlantici. Il caso de La decima vittima
Abstract: La singolare vicenda produttiva de La decima vittima (Petri, 1965) è un caso di studio esemplare per analizzare il ruolo assunto dal cinema italiano del dopoguerra nell’esportazione americana del made in Italy. Il film, che insieme assomma, attesta e ispira diverse espressioni dell’Italian style, è inquadrabile infatti come un singolare “snodo” degli scambi transatlantici che spicca più di altri tra il folto corpus di produzioni filmiche del dopoguerra. La decima vittima infatti (i) combina in chiave artistica e produttiva le specificità di quattro diverse espressioni del made in Italy – moda, design, architettura e cinema; (ii) è tra i film italiani più longevi nell’immaginario americano di genere, tanto da ispirare nuovi immaginari e filmografie; e (iii) attinge a un immaginario tradizionalmente di pertinenza angloamericana (la fantascienza) per proporre una visione distopica e meta-critica degli stessi scambi transatlantici. 
L’analisi proposta è tesa a mappare i diversi esiti del modernismo italiano presenti nell’opera di Petri, ricostruendo la vicenda produttiva e distributiva del film nel contesto statunitense. La mia ipotesi è che la peculiare specificità de La decima vittima abbia reso il film un longevo e importante artefatto culturale in grado di agire nella cultura cinematografica americana del dopoguerra e dei decenni a seguire, attestandosi come uno degli snodi più significativi nella mappa degli scambi transatlantici.

Ilaria A. De Pascalis (Università Roma Tre) 
Ilaria A. De Pascalis è professoressa associata presso il Dipartimento di Filosofia, Comunicazione e Spettacolo dell’Università degli Studi Roma Tre. I suoi principali interessi di ricerca sono la Feminist Film Theory, i Gender Studies e la Queer Theory; le narrazioni contemporanee e la globalizzazione; il cinema europeo in una prospettiva transnazionale; il cinema classico hollywoodiano; i generi narrativi. È autrice di Commedia nell’Italia contemporanea (Il Castoro, 2012) e Il cinema europeo contemporaneo: scenari transnazionali, immaginari globali (Bulzoni, 2015), e ha curato con Paola Brembilla Reading Contemporary Serial Television Universes: A Narrative Ecosystem Framework (Routledge 2018) e con Lorenzo Marmo il dossier su Superfici, confini, formati: le immagini contemporanee per la rivista “Imago. Studi di cinema e media” (2020).

La donna transatlantica secondo le Sorelle Fontana: il tour promozionale di Le ragazze di Piazza di Spagna negli Stati Uniti 
Abstract: Nel settembre del 1953, Micol Fontana approda a New York con le tre modelle Iris Bianchi, Luisa Cerasoli ed Elsa Martinelli per un tour promozionale che vede la collaborazione della società Italian Film Export e della LAI – Italian Air Lines: le quattro donne gireranno numerosissime città statunitensi per promuovere contemporaneamente il film Le ragazze di Piazza di Spagna di Luciano Emmer (1952), proposto doppiato in inglese con il titolo Three Girls from Rome, assieme alla nuova collezione autunnale della casa Sorelle Fontana. 
L’intervento vuole esplorare soprattutto tre dei molteplici livelli che si intersecano in questo discorso: la scelta di questa commedia e delle vicende delle sue protagoniste come strumento per parlare dell’Italia del dopoguerra ad un pubblico popolare statunitense; il modo in cui viene raccontata la femminilità messa in scena dalla casa di moda per i grandi magazzini e il mercato d’oltreoceano; e infine come questa realtà vada ad intrecciarsi con un’immagine nazionale legata ai mezzi di trasporto della modernità come gli aerei, che al tempo stesso vengono inclusi in una narrazione sulla circolazione del lusso e del piacere fra le due sponde dell’Atlantico.  
Innanzitutto, la commedia all’italiana è stata coacervo di potenzialità per la messa in scena di una nazione che vuole tessere una riflessione su spostamento e mobilità, materiali e simbolici: dalla periferia popolare al raffinato centro metropolitano, le tre protagoniste propongono uno slancio che esplora una possibilità di trasformazione sociale anche quando non si realizza appieno, e che diviene sineddoche del movimento culturale dall’Italia agli Stati Uniti. Per poter produrre questo movimento di apertura a nuovi e diversi modelli, le società coinvolte nel film e nella sua promozione sperimentano nuove strategie di marketing, intessendo una nuova celebrità per Micol Fontana e la casa di famiglia, attraverso la messa in scena di una femminilità di grande raffinatezza. Soprattutto, ad essere tradotta in racconto è la tensione fra tradizione e modernità, rappresentata da un lato da una femminilità pensata tradizionalmente come oggetto dello sguardo e del desiderio maschili, e dall’altro questa stessa femminilità come parte di un mondo che viaggia, che scopre nuove realtà, che si lancia con indipendenza e intraprendenza verso avventure ricche di possibilità. L’attenzione ai mezzi di trasporto proposta dal film viene così rievocata dall’attenzione portata alla compagnia aerea LAI che sponsorizza il viaggio delle quattro donne, ispirando anche una serie di modelli dedicati all’esperienza del volo.  
Le immagini del film e le immagini pubblicitarie del tour, che vedono protagoniste diverse per quanto simili, finiscono per intrecciarsi e sovrapporsi, rispondendo a logiche politiche ed economiche vicine, e dando vita a una messa in scena della femminilità in cui il dispositivo abito si fonde con i dispositivi di movimento e quelli di visione, in una vertigine di tensioni tutta da esplorare.

Panel 2 – The Reception of Italian Cinema in Post-war US

Chris Hite (Allan Hancock College in Santa Maria)
Chris Hite is a Professor of Film at Allan Hancock College in Santa Maria, CA. He has previously presented papers on Italian cinema at the Italian Cinema(s) Abroad Conference at Ohio State and the Society of Cinema and Media Studies in Atlanta.

Reception and Response to Post-war Italian Cinema in Western Pennsylvania
Abstract: The response to Italian cinema in major American cities in the 20th century, in particular the neorealist era, has been well documented.  In the mid to late forties, screenings of films like Rome, Open City and The Bicycle Thieves in New York, Boston, Los Angeles, and Chicago led to critical praise from audiences and entertainment press alike, as well as challenges from both motion picture reformers and nativist apologists for the Hollywood industry.  Screenings of films like Il Miracolo were rife with public conflict in the world’s premier film market, New York City, and led to a high profile legal case that forever changed the manner in which the Hollywood industry approached filmmaking. 
But what about the experience of post-war Italian cinema in rural or secondary markets?  Were there instances of approval or resistance that mirrored the experience these films had in major American markets?  Were strong opinions expressed on these films by regional religious, moral, and civic groups as they had been in urban areas?  Were these opinions in congress with those of their metropolitan colleagues?  Were there instances of repression or censorship that affected the proliferation of post-war Italian cinema in the United States especially in smaller markets?  How did the changing political fortunes of Italy—a post-fascist nation with a strong Communist presence—affect reception and response to Italian cinema in a nation that was part of the Allied assault during WWII? 
My case study through which these questions and more will be examined is Western Pennsylvania, a largely rural, working class region with a high population of Italian emigres and Italian-Americans since the beginning of the 20th century and, as a result, a large influence of the Catholic Church.  The works examined are a cohort of post-neorealist films including Bitter Rice, Stromboli, and La Dolce Vita, all largely appearing in the region in the 1950s and ‘60s. The aim of this study is to add to the existing story of post-war Italian cinema in a new facet by documenting its experience in the United States outside of premier markets, accounting for regional nuance and practices in regard to motion picture distribution and consumption with the hope that this research contributes to a dialog with existing scholarship on the experience of post-war Italian cinema in major American cities.

Luana Fedele, Damiano Garofalo (Sapienza Università di Roma) 
Luana Fedele è dottoranda in Musica e spettacolo presso il Dipartimento SARAS di Sapienza Università di Roma con un progetto di ricerca sulla casa di produzione e distribuzione Cineriz (1956-1982). I suoi interessi di ricerca riguardano la storia sociale e culturale del cinema italiano, i media industry studies e i reception studies. 
Damiano Garofalo è ricercatore a tempo determinato presso il Dipartimento SARAS di Sapienza Università di Roma, dove insegna Storia del cinema e Storia della televisione. Si è occupato soprattutto di storia della televisione italiana, di storia sociale e culturale del cinema italiano, di distribuzione e ricezione internazionale dell’audiovisivo.

«The Most Shocked About Film of Our Years». La circolazione de La Dolce Vita negli Stati Uniti 
Abstract: La Dolce Vita (1960, F. Fellini) è il quinto film straniero per incassi nella storia degli Stati Uniti. Distribuito da Astor Pictures in due versioni, una sottotitolata, nel 1961, e una doppiata cinque anni dopo, esso rappresenta il vero e proprio traino di quella che Tino Balio ha definito «second Italian renaissance» sugli schermi nordamericani. Ancora oggi, il film è al terzo posto dei film italiani più visti dalle spettatrici e dagli spettatori statunitensi, influenzando in modo decisivo la costruzione dell’immaginario del cinema italiano, e dell’Italia più in generale, in Nord America. L’obiettivo del nostro paper è quello di indagare i percorsi di circolazione del film nei mercati e nella cultura statunitense. A partire dallo studio delle strategie di distribuzione portate avanti da Astor Pictures, passando per l’analisi dei materiali promozionali conservati presso il fondo Cineriz della Biblioteca Luigi Chiarini, fino ad arrivare a una panoramica sulla ricezione critica attraverso lo spoglio di riviste specializzate e generaliste, verrà ricostruito il percorso del film negli Stati Uniti riconnettendolo, idealmente, ai discorsi e alla tipologia di immaginari generati in chiave transnazionale.

Massimiliano Gaudiosi (Università degli Studi Suor Orsola Benincasa)
Massimiliano Gaudiosi è assegnista di ricerca presso l’Università degli Studi Suor Orsola Benincasa per il PRIN “Archivi del Sud. Il cinema di Non-Fiction e il paesaggio meridionale in Italia (1948-1968)”. È attualmente Fulbright Research Scholar presso la University of Texas at Austin per una ricerca sull’immagine dell’Italia nella collezione fotografica Magnum. Si è interessato della rappresentazione del paesaggio, dell’immagine di Napoli nel cinema, di film popolari, di archeologia dei media e di cinematografia subacquea. È autore delle monografie Lo schermo e l’acquario. Scienza, finzione e immersività nel cinema degli abissi (Pisa, Edizioni ETS, 2019) e (con Augusto Sainati) Analizzare i film (Venezia, Marsilio, 2007) e ha pubblicato numerosi saggi in riviste e opere collettanee. 

Dal fotogiornalismo Magnum alla Hollywood sul Tevere: il cinema italiano raccontato da Life Magazine
Abstract: Attraverso quelle scelte estetiche che l’hanno resa celebre nel mondo, quali la fusione dinamica di “immagini, editoriali, articoli e pubblicità in uno stile grafico decisamente contemporaneo” (Doss 2001), la rivista Life Magazine ha giocato un ruolo non secondario nella rappresentazione dell’Italia sull’altra sponda dell’oceano. In particolare nell’arco di tempo che va dal secondo dopoguerra ai primi anni Settanta, Life ha contribuito a fissare nell’immaginario collettivo statunitense il ritratto di un partner strategico per la politica americana. Un ritratto che, pur se inquadrato in una linea ideologicamente schierata, risulta composito e ricco di sfumature.  
Per la realizzazione di questo grande affresco nazionale, il cinema italiano sembra aver fornito tutto un repertorio di chiavi tematiche e di spunti visivi di notevole importanza. Da una parte, il rotocalco fondato da Henry Luce ha raccontato per il suo vasto pubblico le principali novità filmiche provenienti da Roma e ha prevedibilmente immortalato dive come Gina Lollobrigida e Sophia Loren: un racconto attraversato ora da una genuina ammirazione per maestri come Fellini e Antonioni, ora dal desiderio di dettagliare storie giornalisticamente allettanti come il legame tra Rossellini e la Bergman, ora da uno sguardo ironico sui tic e i comportamenti italici che sono stati propagandati dal grande schermo.   
Dall’altra parte, il cinema italiano sembra ispirare alcuni reportage fotografici apparsi sulle riviste illustrate internazionali, in particolare quelli della Magnum Photos, cooperativa internazionale che nel secondo novecento “ha mostrato al pubblico quale aspetto avesse il mondo” (Hoelscher 2013). Come è stato recentemente suggerito (tra gli altri in Saponari 2017; Pitassio 2019), dietro il ritratto del nostro paese restituito da grandi firme della Magnum quali Robert Capa, Henri Cartier-Bresson e David Seymour, si possono riconoscere motivi visivi condivisi e messi in circolazione dal cinema italiano, motivi che ritornano sulle pagine di Life. Non a caso sono diversi i collaboratori della Magnum che hanno documentato luoghi ed eventi italiani, lavorando in qualche occasione sul set di produzioni nazionali e internazionali. Allo stesso tempo, la fotografia e il fotogiornalismo hanno costituito un linguaggio visivo che ha influenzato profondamente lo stile della fiction e della nonfiction cinematografica italiana e, più in generale, l’estetica neorealista fin dal termine degli anni Quaranta. 
L’obiettivo della presente proposta è di analizzare, sia sul piano dei contenuti sia sul piano iconografico, immagini e temi ispirati dai film italiani che hanno occupato le pagine di Life: il proposito è di provare a riconoscere le tracce di un’estetica eterogenea in grado di dialogare, tra differenze e continuità, con lo stile di un cinema che nel dopoguerra avrebbe fatto scuola nel mondo.

Panel 3 – Italian Style, Gender and Sexual Politics

Giuliana Muscio (Università di Padova)  
Professor Film Studies, University of Padova. PhD in Film at UCLA. Visiting professor at UCLA and at American Studies in Minneapolis. In Padova Head of the international Master in Atlantic and Globalization Studies, and of the Master on Audiovisuals and Media Education.
Her research deals with the relations between Italian and American cinema, Italian diaspora in the Americas, transnationalism, cosmopolitanism, Mediterranean Studies, History of Italian media, Screenwriting, Women in silent cinema. Among several books she published Hollywood/Washington; Lista nera a Hollywood;  Alle porte di Hays; The New Deal and the Film Industry; Napoli/New York/Hollywood (Fordham UP) translated as Napoli/New York/Hollywood. La storia dell’emigrazione artistica italiana che ha cambiato il cinema americano e l’immagine degli italiani negli USA. She edited Quei bravi ragazzi. Il cinema italoamericano contemporaneo, translated by the Calandra Institute as Mediated Ethnicity. She co-curated the exhibit “Italy in Hollywood” for the Museo Ferragamo in Florence and “Enrico Caruso: from Naples to New York” at the Archeological Museum of Naples and directed the documentary Enrico Caruso: the Greatest Singer in the World for the Ministry of Foreign Affairs.

Neorealist Cinema and Sexual Revolution
Abstract: In New York the continuous screening (21 months) of Open City, distributed by Joseph Burstyn, set an “unprecedented achievement for a foreign film” (Balio, Foreign Film Renaissance, 3). While the impact of neorealist films on the development of arthouses in American cities and campuses is documented, less attention has been given to their coeval circulation in adult theatres and their publicity, stressing the sensuality of Mediterranean actresses.  
Neorealist cinema challenged Hollywood on a stylistic level with its sober black and white, non-professional actors and open air shooting, and its social criticism, but also with sexual behaviors. Indeed Open City narrated of a war widow, unmarried and pregnant of another man, and of a lesbian drug addict –characters not admissible in American cinema, (self-)censored by the Hays Code till 1968. Neorealist films proposed a different representation of sexual mores and of the body, and specifically of the feminine body: not the plastic beauty of the pin up, but the realistic appeal of a “maggiorata” with her prominent bosom, of a disheveled lady in her petticoat. Between 1946 and the 1960s this feminine image circulated widely as an exotic alterity within the contradictory cultural relations with Italy, but it proposed also a new, unexpected model of a different modernity.  The experience of Hollywood on the Tiber encouraged closer contacts between American and Italian cinema. Blacklisted Ben Barzman shot in Italy Luxury Girls, a melodrama dealing with abortion. Under attack by anticommunist unions, the producer changed the plot and advertised it as an adult film, adding Italian credits.
Tennessee Williams claimed the influence of neorealism in The Rose Tatoo, that focuses on the sexuality of a widow and of her young daughter. Written specifically for Anna Magnani, in 1955 the film won her an Oscar, in the same year as another American “neorealist” film, adapted from a prize-winning tv show, Marty. Shot on location in the Bronx, in black and white, Marty narrated of a shy Italian-American butcher, falling in love with a shy teacher.  Furthermore, a small Rossellini film, The Miracle, played a crucial role in the demise of the Hays Code. In the film, a vagabond (Federico Fellini, who also wrote the screenplay) seduces a dim-witted peasant woman (Magnani), who thinks he is Saint Joseph. When she discovers being pregnant, she believes it was an “immaculate conception.” While The Miracle won the New York Critics Award, it was boycotted by the Catholic Legion of Decency, whose intervention suspended the license of the theatre showing it.  Distributor Burstyn filed a lawsuit with the Supreme Court, which handed down its decision, stating that banning the film constituted a “restraint of freedom of speech” and a violation of the First Amendment: a turning point in the history of American film censorship.

Sabrina Vellucci (Università Roma Tre) 
is Associate Professor of Anglo-American Literature at Roma Tre University. She has published extensively on 19th-century American literature, women’s writing, Italian American literature, American theater, and the relationships between literature, cinema, and the visual arts. She recently co-edited the volumes Re-Mapping Italian America: Places, Cultures, Identities (2018) and Circolazione di persone e di idee. Integrazione ed esclusione tra Europa e Americhe (2020). She is assistant editor of the international quarterly Letterature d’America and co-director of the Italian Diaspora Studies Summer Seminar (Roma Tre University-Queens College, CUNY).

Tennessee Williams’s South and Hollywood Magnani 
Abstract: This paper looks at two Hollywood movies that starred Anna Magnani – The Rose Tattoo (Daniel Mann, 1955) and The Fugitive Kind (Sidney Lumet, 1959) – with a view to understanding how the Italian actress’s unique performative style contributed to a renewal of dramatic patterns and acting roles for women in the U.S. film industry. Magnani’s success in Hollywood was partly the result of her encounter with Tennessee Williams (author of the plays from which both films had been adapted), whose contemporary experiments and poetic innovations on the stage would shape a peculiar transnational/transcultural South that was the privileged setting and subject of his cinematic imagination.

Gabriele Landrini (Università degli Studi di Bari Aldo Moro) 
Gabriele Landrini è assegnista di ricerca presso l’Università degli Studi di Bari Aldo Moro, dopo aver conseguito il dottorato presso la Sapienza Università di Roma. È parte del progetto PRIN “Il pollo ruspante. Il cinema e la nuova cultura dei consumi in Italia (1950-1973)”. È membro della redazione delle riviste “Cinergie” e “Cinéma & Cie”. Ha partecipato a convegni nazionali e internazionali e ha pubblicato, oltre a diversi saggi in riviste di settore, il volume Fotogrammi di carta. I venticinque anni del cineromanzo italiano (1950-1975), edito da Meltemi. 

«A symbol of something for all the girls». La mascolinità italiana sulle pagine di Life Magazine
Abstract: Tra i più noti periodici statunitensi, Life si confronta diverse volte con la cultura italiana: dalle cronache politiche alle riflessioni sulla società, passando per il cinema e l’arte, il settimanale tenta di raccontare alle platee statunitensi la realtà tricolore, grazie soprattutto a reportage e a ritratti di figure del tempo. A metà degli anni Sessanta, un numero significativo, seppur non troppo elevato, di articoli è dedicato al cosiddetto Italian man, ovvero un prototipo di uomo vigoroso e positivo, che non solo contraddistingue la cultura italiana, ma anche il suo cinema. Partendo dai servizi fotografici, dalle recensioni, dalle interviste e dagli articoli di costume pubblicati tra il 1963 e il 1966, l’intervento mira a ragionare su come Life – e di conseguenza l’immaginario a stelle e strisce di cui è figlio – concepisca e dipinga la mascolinità italiana, con particolare attenzione per l’ambito cinematografico. Tale analisi dialoga con la sempre più florida bibliografia dedicata alla mascolinità nazionale, in particolare sul grande schermo, intrecciandosi con le riflessioni sulla costruzione e ricezione della cultura italiana negli Stati Uniti. 
Nello specifico, dopo una parte introduttiva votata a delineare ad ampio raggio il rapporto tra Life e l’Italia, si riflette anzitutto su come la rivista modelli l’Italian man, richiamando nello specifico degli scatti fotografici del 1963. In questo senso, si rintracciano gli elementi che lo caratterizzano, ad esempio l’animo da latin lover, la convivialità nel gruppo, l’affetto verso la famiglia o un certo fascino naturale. L’analisi si sposta poi sulla sua configurazione cinematografica, grazie in particolare ai contributi dedicati tra il 1963 e il 1965 a Marcello Mastroianni, unico attore italiano presente in modo ricorrente sia in articoli ad ampio respiro, sia in recensioni di singoli lungometraggi. In queste pagine, il divo si erge a emblema di una mascolinità italiana poliedrica, proponendosi sì come controparte divistica dell’uomo italiano comune, ma anche come una celebrità nonostante tutto, sempre nel solco di un’inettitudine costante ma problematica. In conclusione, si pone l’attenzione su una riformulazione del modello di Italian man avvenuta nel corso del 1966 che, oltre a rielaborare la narrativa encomiastica precedente, sembra porre ideologicamente fine all’interesse della rivista per la mascolinità nazionale.

Panel 4 – Modernism, space, design 

Marta Averna (Politecnico di Milano) 
Architetto, dottore di ricerca in Architettura degli Interni ed Allestimento, è professore a contratto e assegnista di ricerca per il progetto PRIN Transatlantic Transfers presso il Dipartimento di Architettura e Studi Urbani del Politecnico di Milano. Qui insegna Architettura degli Interni nella Laurea Magistrale in Architecture Built Environment Interiors. Svolge attività didattica e di ricerca sull’abitare domestico in condizioni di marginalità e sul riuso del patrimonio. Ha partecipato a numerosi progetti di ricerca europei sul progetto domestico e i luoghi di lavoro; è stata titolare di assegni di ricerca per la conoscenza e il riuso del patrimonio e degli Interni.

Tra mondi e arti. Spazi, immagini, oggetti e suoni nella sintesi filmica nella costruzione dell’identità Olivetti
Abstract: Olivetti, nel pensiero del suo presidente dagli anni ’30 alla morte nel 1961, rappresentava non soltanto la fabbrica capace di competere per la sua organizzazione e la qualità della sua produzione sul mercato nazionale e internazionale, ma anche e soprattutto uno strumento di rifondazione della società, nella sua capacità di diffondere, rendere riconoscibile e aperta a tutti la cultura, intesa «nel suo autentico significato di ricerca disinteressata di verità e bellezza». E questa capacità di far vedere la bellezza e la logica tramite oggetti e spazi attraversa ogni prodotto e ogni spazio costruito per l’azienda: come rileva Caterina Toschi, lo si verifica negli allestimenti d’interni per i negozi e per le mostre che hanno contribuito alla sua fama, e ancora nel disegno dei luoghi di lavoro, uffici e fabbriche, da quelle eporediensi di Figini e Pollini alla Underwood di Harrisburg di Louis I. Kahn, e dei servizi, spesso integrati agli stabilimenti, come a Pozzuoli nel progetto di Luigi Cosenza, o ancora dei prodotti, cesellati dalle mani di eccezionali designer, come Ettore Sottssass, o Marcello Nizzoli. 
E ancora questo sforzo di comunicare un’idea sulla società umana, sulla ricerca di un benessere trasversale, si deduce dalle pubblicazioni promosse dall’azienda e dal modo in cui queste a loro volta sono state progettate e realizzate. Sulla carta stampata e in una grande varietà di tipologie di video, come pubblicità, documentari e brevi film, l’azienda si racconta con un linguaggio apparentemente semplice, comprensibile a molti e capace di aprire a mondi altri. 
L’intervento vuole provare a mettere a sistema queste esperienze così diverse, verificando come uno stesso fine, la volontà di superare quel «divorzio tra tecnica e cultura» che Adriano Olivetti identificava come un tratto pericoloso e impoverente della società contemporanea, venga declinato nei diversi media, mantenendo una solida coerenza e chiarezza di scopi. Arti diverse si affiancano e armonizzano, la musica, come nel Divertimento for Olivetti machines di Bob Gill del 1973, le animazioni, come quelle che illustrano il sistema per editare i testi della Olivetti TES 501, le installazioni video, come l’Implicor del 1971. Oltre ai temi, sono trasversali molte delle figure coinvolte: Sottsass non è solo il progettista della Valentine, ma viene coinvolto nella regia di Stephen Dwoskin delle sue pubblicità londinesi, e partecipa alla realizzazione del già citato Implicor. Allo stesso tempo, come si verifica nelle pubblicità per diversi mercati, lo stesso concetto viene tradotto e riscritto per essere comprensibile in mondi e modi di vivere diversi. 
L’intervento vuole verificare come un progetto chiaro, riferito alla vita dell’uomo nella sua totalità, sia tradotto in progetti altrettanto chiari e coerenti per quanto sviluppati nelle diverse arti: «nelle cose artistiche, in una pagina in cui l’azienda vuole comunicare al mondo qualcosa di sé, in una architettura attraverso la quale esprimersi e rivelarsi e mettere a proprio agio chi la deve abitare, nella forma di un prodotto, che porta un nome in giro per il mondo.» 

Maria Vittoria Capitanucci (Politecnico di Milano) 
Docente a Contratto di Storia dell’Architettura Moderna e Contemporanea, Politecnico di Milano.
Laureata a Milano in Architettura, consegue il dottorato di ricerca in Storia e Critica dell’Architettura presso l’Università Federico II di Napoli. Docente a Contratto in Storia dell’Architettura presso il Politecnico di Milano dal 1995, conduce attività di ricerca all’interno dell’AUIC e presso Istituzioni italiane come il MAXXI, la Triennale di Milano, Casva, Ministero dei Beni Culturali. Interessata alla interdisciplinarietà ha scritto dei rapporti tra architettura, design moda e arti visive, appassionata di cinema è stata coinvolta anche nel Milano Design Film Festival. Collabora con riviste specializzate nel campo, dell’architettura, dell’arte e del design. Ha pubblicato saggi e monografie sull’architettura del dopoguerra e contemporanea tra queste: Agnoldomenico Pica 1907-1990. La critica dell’architettura come mestiere, Hevelius 2002; Vito e Gustavo Latis, Skira 2007; 3 volumi editi da Skira sulle recenti trasformazioni milanesi ( tra il 2007/2013) tra cui Milano verso l’Expo, Skira 2009; Il professionismo colto nel dopoguerra, Abitare RCS 2013. Di recente, 2021, ha contribuito con il breve saggio ‘Tre film d’architettura alla X Triennale’ al volume corale ‘Miracolo a Milano’ a cura di Gianni Biondillo, Euromilano editore 2021.

L’architettura e la città della ricostruzione italiana nel cinema: da Miracolo a Milano alla X Triennale, una piccola grande storia 
Abstract: Con ‘Miracolo a Milano’ De Sica e Zavattini (1951) mostrano una città ferita che sta rinascendo contribuendo così a traghettare, assieme ad altri filmaker dell’epoca, un diverso immaginario su Milano e l’italia all’estero. In patria, il loro approccio influenzerà, oltre all’ampio parterre cinematografico, anche il lavoro di un gruppo di intellettuali interessati a comunicare l’architettura e la città. In occasione della XT di Milano del 1954 verranno realizzati tre brevi film ideati da Giancarlo De Carlo e Elio Vittorini, affiancati da maestri del cinema e dei documentari, da Doglio a Demicelli, da Pedroni a Gandin, nonché dal musicista sperimentale Mario Nascimbeni, qui nell’inedita veste anche di produttore. L’Italia guarda agli States e gli USA scoprono il paesaggio italiano ‘Moderno’.